sabato 26 dicembre 2020

Kunanbaev, fondatore pensoso e giudizioso

 

Foresta di Dilka Bear

 

Summer by Abai Kunanbaev

 

Summer climbs the mountains

Flowers overcolour and blanch.

Men leave the sun and sit,

tree-tented, by the cold creek.

Horses bray, each apart

in the warm air, and the long grass

whiffles in a lime plain.

Hushed and still, the horseherd stand

in whiter-high; and wave

the flies away with silk-swish tails;

and colts clatter the air,

rippling the quiet, and lifted eyes.

Geese hoot through certain blue.

Ducks slip past, water-brushing.

Girls frame the tents, their

soft voices melting in the heat.

The boss rides back from his sheep,

smiling through tent-town,

clopping with warm slow time,

his hat a tilted effect.

And old-timers suck round

the milk-hooch bag, their

say-again stories fired

in their laugh-again eyes.

The stewmeat steams.

A boy tugs his mother's spoon.

The bosses sit in a curl of time

on light-swirled carpets

under a languid tilt

and suck their tea and talk and talk

in mannered turn. A rheumy old grouch

shouts at the shepherds' dust,

one ear on his own brave show.

No other ear heras more than heat

and quiet: and talk runs on,

creek-like, with the creek.

The herdsmen, strutting-young,

rock coolly in their saddles, parading back

from night-time grazing, dressed

to see, and riding twice their blood.

Way past the tents in the softened heat

the boss's son casts falcons

with his friends. Their horses mouth

the close, bright air. The bird

drills up along the sky

and nails a heat-blown goose.

And the rheumy old grouch,

coughing in the shepherds' dust,

stares, unwatched, and hot with sadness

that his glory is all gone.

 

***

 

Estate di Abai Kunanbaev

 

L’estate sale sulle colline.

I fiori imbiancano e si colorano.

Gli uomini lasciano il sole e siedono

sotto gli alberi, vicino al fresco ruscello.

I cavalli nitriscono, ognuno lontano

dall’altro nell’aria calda e l’erba alta

sussurra in una pianura di tigli.

Tranquillo ed immobile il branco di cavalli

è immerso nell’acqua ferma; e scaccia

le mosche con leggeri colpi di coda;

e i puledri scalpitano nell’aria,

rompendo la quiete negli occhi sgranati.

Le oche starnazzano nel blu.

Le anatre scivolano sull’acqua.

Le ragazze mettono su le tende, le loro

Voci morbide si sciolgono nel caldo.

Il capo ritorna dalle sue pecore,

sorridendo attraverso la tendopoli,

facendo scalpitare il cavallo,

il cappello inclinato sulla testa.

I ritardatari sorseggiano il latte

munto di fresco, le vecchie storie

narrate negli occhi sorridenti.

Lo stufato bolle.

Un ragazzo strappa di mano

alla mamma il cucchiaio.

I capi siedono per un attimo

sui tappeti distesi

sotto un languido pendio

e bevono il tè e parlano, parlano

a modo loro. Un vecchio brontolone

urla per la polvere delle pecore,

un orecchio al suo coraggioso spettacolo.

Nessun altro sente se non caldo e silenzio:

e le chiacchiere continuano,

a fiumi, con il fiume.

I pecorai giovani in apparenza,

si cullano sulle loro selle, al ritorno

dal pascolo notturno, vestiti per vedere

cavalcare il loro sangue due volte.

Lontano dalle tende, nel caldo morbido,

il figlio del padrone lancia falconi

con gli amici. Le bocche dei loro cavalli

hanno l’aria lucente in bocca. L’uccello

trilla su nel cielo

e martella di sotto un’oca sfatta dal caldo.

E il vecchio reumatico brontolone,

tossendo nella polvere del gregge,

resta immobile, di nascosto, pieno di tristezza

medita sulla sua antica gloria.

 

 


martedì 8 dicembre 2020

Lennon, poetry is not over

Jhon Lennon di Andy Warhol


Ci hanno fatto credere di John Lennon

 

Ci hanno fatto credere che l’amore, quello vero, si trova una volta sola, e in generale prima dei trent’anni.

Non ci hanno detto che l’amore non è azionato in qualche maniera e nemmeno arriva ad un’ora precisa.

Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà.

Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.

Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare.

Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.

Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.

Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre una scarpa vecchia per un piede storto!

Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.

Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione.

Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative. Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.

Ognuno di noi lo scoprirà da sè. E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno.


*** 

 

They made us believe that by John Lennon

 

They made us believe that real love, the one that’s strong, only happens once, more likely before your thirties.

They never told us that love is not something that you can put in motion, neither has time schedule.

They made us believe that each one of us is the half of an orange, and that life only makes sense when you find that other half.

They did not tell us that we were born as whole, and that no one in our lives deserves to carry on his back such responsibility of completing what is missing on us: we grow through life by ourselves. If we have a good company it’s just more pleasant.

They made us believe in a formula “two in one”: two people sharing the same line of thinking, same ideas, and that it is what works.

It’s never been told that it has another name: invalidation, that only two individuals with their own personality is how you can have a healthy relationship.

It has been made to believe that marriage is an obliged institution and that fantasies out of hour should be repressed.

They made us believe that the thin and beautiful are the ones who are more loved, that the ones that have little sex are boring, and the ones that have a lot of it are not trustful, and that will always have a old shoes to a crooked foot; what they forgot to tell us is that there are more crooked minds than feet.

They made us believe that there’s one way formula to be happy, the same one to everybody, and the ones that escape from that are condemned to be delinquents.

We have never been told that those formulas go wrong, they get people frustrated, they are alienating, and that we can try other alternatives. Oh! Also they did not tell us that no one will tell those things to us.

Each and everyone of us will have to learn by ourselves. And, when we get to the point that you are in love with yourself first, that’s when you can fall in love with somebody.

domenica 6 dicembre 2020

Ševčenko, figlio del sogno e dell’esilio

 

Autoritratto a penna durante l'esilio di Taras Hryhorovyč Ševčenko



I miei pensieri di Taras Hryhorovyč Ševčenko


Miei spinosi pensieri,

miei spinosi pensieri,

mi arrecate soltanto dolore!

Perché ve ne state sulla carta così tristemente uno sopra l’altro?..

Perché i venti

non vi disperdono

come la polvere nelle steppe?

Perché mai la cattiva sorte

non vi culla nel suo petto?…..

Miei pensieri,

miei malinconici pensieri,

miei bambini, teneri germogli!

Vi ho nutrito, vi ho cresciuto..

e ora cosa devo fare con voi?….

Andate in Ucraina,

miei trovatelli senza tetto!

Fate la vostra strada di ritorno

verso l’Ucraina,

come vagabondi,

ma io son destinato

a rimanere qui.

Lì troverete un cuore

che è vero e parole

di gentile benvenuto,

lì troverete onestà,

pura verità

e forse anche fama…

.Allora,

mia Madrepatria,

Ucraina,

 accoglili in casa tua!

Accetta la mia schietta,

semplice prole

e prendila per te stessa!

 

 

 

 

 

 

 

 



domenica 22 novembre 2020

Rizal, eroe e poeta nazionale

 

Una dama alla luce della luna, Félix Resurrección Hidalgo



Kundiman (testo originale della poesia di Jose Rizal)

 

Tunay ngayong umid yaring dila’t puso

Sinta’y umiilag, tuwa’y lumalayo,

Bayan palibhasa’y lupig at sumuko

Sa kapabayaan ng nagturong puno.

 

Datapuwa’t muling sisikat ang araw,

Pilit maliligtas ang inaping bayan,

Magbabalik mandin at muling iiral

Ang ngalang Tagalog sa sandaigdigan.

 

Ibubuhos namin ang dugo’t babaha

Matubos nga lamang ang sa amang lupa

Habang di ninilang panahong tadhana,

Sinta’y tatahimik, iidlip ang nasa

 

Sinta’y tatahimik, tutuloy ang nasa

O, bayang kong mahal

Sintang Pilipinas.

 

 

 

Canzone d’amore (Traduzone della poesia di Jose Rizal in italiano)

 

Adesso la lingua e il cuore sono muti:

l’amore si allontana, l’allegria si distingue.

Le persone furono sottomesse e dominate

Trascurate dai suoi leader e sconfitte.

 

Ma il sole brillerà di nuovo!

La forza salverà il popolo oppresso,

il principe ritornerà e combatterà di nuovo

sanerà il nome della razza Tagalog.

 

Verseremo il nostro sangue in una inondazione

soltanto per liberare la nostra Terra Madre

ma fino all’arrivo di questo giorno,

l’amore resterà muto, ma il desiderio dominerà.

 

L’amore resterà muto, il desiderio continuerà ad esistere

O mio amato popolo

O mie amate Filippine.


domenica 25 ottobre 2020

Laâbi, soffi e deserti


Composizione, Meki Megara



Buongiorno sole del mio paese di Abdellatif Laâbi

 

Buongiorno sole del mio paese

com’è bello vivere oggi

che luce

che luce attorno a me

Buongiorno desolata terra della mia passeggiata

mi sei diventata familiare

ti percorro con vigore in lungo e in largo

mi calzi come una scarpa elegante

Buongiorno bufaga goffa e filosofa

perché lassù

su quella muraglia che mi cela il mondo

ti solleticano le coste

a piccoli colpi distratti

Buongiorno erba fragile del sentiero

vibrante in piccole rughe opalescenti

sotto la carezza giocosa del vento

Buongiorno grande palma solitaria

piantata sul tuo trampolo granuloso

che come uno splendido tulipano ti schiudi

sulla cima

Buongiorno sole del mio paese

marea di presenza che annienta l’esilio

Che luce

che luce attorno a me


***


Bonjour soleil de mon pays

qu’il fait bon vivre aujourd’hui

que de lumière

que de lumière autour de moi

Bonjour terrain vague de ma promenade

tu m’es devenu familier

je t’arpente vivement

et tu me vas comme un soulier élégant

Bonjour pique-boeuf balourd et philosophe

perché là-haut

sur cette muraille qui me cache le monde

te chatouillant les côtes

à petits coups distraits

Bonjour herbe chétive de l’allée

frissonnant en petites rides opalescentes

sous la caresse taquine du vent

Bonjour grand palmier solitaire

planté sur ton échasse grenue

et t’ouvrant comme une splendide tulipe

à la cime

Bonjour soleil de mon pays

marée de présence annihilant l’exil

Que de lumière

que de lumière autour de moi


sabato 17 ottobre 2020

Berryman, Yeats confessionale

 

Trodden Weed, Andrew Wyeth




La confessione d’Enrico di John Berryman

 

Nessun disastro da un po’ di tempo in qua.

Come spiega? –Lo spiego, Signor Ossa,

co’ ’sta strana, sorprendente sobrietà.

Modello di virtù, né donne né telefono,

che guai può capitargli al Signor Ossa?

–Se la vita è un sandwich di fazzoletti

 

in pudore di morte mi ricongiungo a mio padre

che tanto tempo fa osò lasciarmi.

Una pallottola sul portico di cemento

presso un soffocante mar meridionale

stramazzato su un’isola, accanto al mio ginocchio.

–Lei è ’no strazio, Signor Ossa,

 

eccole questo fazzoletto, ora metta

il piede sinistro vicino al destro mio,

spalla a spalla, e tutta la manfrina,

sotto braccio, presso il magnifico mare,

canticchi un po’, Signor Ossa.

–Non vidi nessuno venire, e allora ci andai io.


sabato 10 ottobre 2020

Glück, il trionfo delle solitudini

 

dipinto di Iris Scott

Fine dell’estate di Louise Glück

 

Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,

mi venne in mente il vuoto.

 

C’è un limite

al piacere che trovavo nella forma…

 

In questo non sono come voi,

non ho risoluzione in un altro corpo,

 

non ho bisogno

di un riparo fuori di me…

 

Mie povere ispirate

creazioni, siete

distrazioni, in ultimo,

puri inceppi; siete

alla fine troppo poco simili a me

per piacermi.

 

E così candide:

volete essere ripagate

della vostra scomparsa,

pagate tutte con qualche parte della terra,

qualche ricordo, come una volta eravate

compensate per il lavoro,

lo scriba pagato

con argento, il pastore con orzo

per quanto non è la terra

a durare, non

queste schegge di materia…

 

Se apriste gli occhi

mi vedreste, vedreste

il vuoto del cielo

specchiato in terra, i campi

di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve…

 

poi luce bianca

non più travestita da materia.


sabato 26 settembre 2020

Rebora, sacerdote lirico

Vent porta nev a Miazzina, Vittore Grubicy de Dragon



 

Dall'immagine tesa di Clemente Rebora

 

Dall'immagine tesa

vigilo l'istante

con imminenza di attesa -

e non aspetto nessuno:

nell'ombra accesa

spio il campanello

che impercettibile spande

un polline di suono -

e non aspetto nessuno:

fra quattro mura

stupefatte di spazio

più che un deserto

non aspetto nessuno:

ma deve venire;

verrà, se resisto,

a sbocciare non visto,

verrà d'improvviso,

quando meno l'avverto:

verrà quasi perdono

di quanto fa morire,

verrà a farmi certo

del suo e mio tesoro,

verrà come ristoro

delle mie e sue pene,

verrà, forse già viene

il suo bisbiglio.

 


domenica 20 settembre 2020

Chodasevič, la lira della notte europea

Elisium, Léon Bakst


Ballata di Vladislav Chodasevič

 

Siedo nella mia stanza rotonda,

Siedo, dall’alto rischiarato.

Guardo il sole da venti candele

Lassù nel cielo intonacato.

 

Intorno – come me rischiarati,

Il tavolo, i lisi divani.

Siedo – e nello sgomento non so più

Dove posare le mie mani.

 

Sui vetri silenzioso fiorisce

Un gelido bianco palmeto.

Nel taschino del gilè martella

L’orologio il suo toc inquieto.

 

Oh, della mia vita senza scampo

Inerte, misera povertà!

A chi confidare come io sento

Per me e per queste cose pietà?

 

Ed ecco comincio ad oscillare,

Tenendo serrati i ginocchi,

E a un tratto in versi a parlare prendo

Con me stesso, chiudendo gli occhi.

 

Sconnessi, appassionati discorsi!

Discorsi senza alcun costrutto,

Ma i suoni son più veri del senso,

La parola – più forte di tutto.

 

E musica, musica, musica

Al mio canto si avvince,

E sottile, sottile, sottile

Una lama allor mi trafigge.

 

Io emergo al di sopra di me stesso,

Mi erigo sulla morta esistenza,

I piedi nella fiamma nascosta,

La fronte negli astri scorrenti.

 

E vedo con occhi smisurati –

Con occhi, forse, di serpente –

Come il canto selvaggio ascoltano

Le mie tristi cose da niente.

 

E a un fluido ritmico vortice

Tutta la stanza si abbandona,

E qualcuno la pesante lira

Attraverso il vento mi dona.

 

E non c’è più il cielo intonacato

E il sole da venti candele:

Su nere rocce levigate

Orfeo poggia i piedi lieve.


martedì 8 settembre 2020

Cappelli, anima delicata

 

La poetessa Graziella Cappelli 


Risalire i colli di Graziella Cappelli


Risalire i colli
e sul crinale
la valle
adagiata nel verde.

Lascio la veste arida
m'irradio
sono luce
nel risveglio.

Alla deriva
di nubi fuggiasche
depongo
un sogno innocente.

lunedì 7 settembre 2020

Galloni, l’estate della poesia italiana

 

Il poeta Gabriele Galloni


Testo tratto da “L’estate del mondo” di Gabriele Galloni

 

Eccoci finalmente all’ultimissima

riva del mondo; vi arriviamo nudi

via terra. Aspetteremo qui la fine

ora che niente abbiamo più alle spalle;

sarà la nostra vita come l’occhio

di un dio cieco – la vita come questo

mare che non sprofonda mai in abisso.

*** 

Soltanto c’è da definire i nomi

che nuovi diamo alle cose e ai viventi.

Perché di questo molto ci appartiene;

ci apparterrà per sempre. Dammi un nome –

fai sì che duri in questo e in altri eoni.

Un nome; io farò con te lo stesso.

*** 

Non costruiremo mai nessuna casa;

dormiremo tra impronta e impronta sulla

sabbia, lasciando che la pelle faccia

di sé insanabile ferita giorno

dopo giorno.  E così via fino all’ultimo

ramo del tempo; fino al giorno in cui

concessa ci sarà un’assoluzione

definitiva da ogni corpo a corpo.

 

 


domenica 6 settembre 2020

Moscardelli, Sirio di Ur

 

Mattinata di settembre, Alfred Sisley


Settembre di Nicola Moscardelli

 

Settembre, incanto di convalescente

che giocando con nulla si contenta,

uva d'ambra che imbiondisce lentamente

sotto i soffi del tramonto

veleggiante alto sui monti,

seta tiepida innocente

delle foglie saltellanti

verso qualche ignoto mare

come farfalle gracili rinate

col vestitino d'estate sbiadito,

verde brina di stelle trasparenti

sul giallore della terra illanguidita,

un canto alla lontana che si sente e non si sente

come quando uno sogna e si lamenta

con la sua bocca spenta.


sabato 29 agosto 2020

Cesarić, autunno e sobborgo

 

Dipinto di Ivan Generalić


Mattino d’autunno di Dobriša Cesarić

 

Mi vestìi.

Mi accostai alla finestra,

Vidi fuori: l’autunno.

Entra l’amico col mantello bagnato

E tutta la stanza profuma di pioggia.

Non dice nemmeno: ciao!

Si accomoda.

Esaltato

Pronuncia: «L’autunno».

 

Fu così fresca quella parola

Quasi un’arancia sul ramo

Dopo la pioggia.

 

 



domenica 9 agosto 2020

Attar, il verbo mistico

 

Serpente e farfalle nel bosco, Otto Marseus van Schrieck





Allegoria delle farfalle di Farid al-Din 'Attar

 

Una notte le farfalle si riunirono

in assemblea, volevano conoscere

che cosa fosse una candela. E dissero:

“Chi andrà a cercar notizie su di essa?”

 

La prima andò a volare intorno a un castello

e da lontano, dall’esterno vide

una luce che brillava. Tornò

e con parole dotte la descrisse.

Ma una saggia farfalla – presiedeva

lei l’assemblea – le disse:

“Tu nulla sai”.

 

Ed un’altra partì, si avvicinò

arrivò sino a urtare nella cera.

Nei raggi della fiamma fece svoli.

Tornò, raccontò quello che sapeva.

Ma la farfalla saggia disse: “Tu,

tu nulla più della prima hai conosciuto”.

 

Un terza si mosse infine, ed ebbra entrò

battendo le ali forte nella fiamma

tese il corpo alla fiamma, l’abbracciò

in essa si perdette piena di gioia

avvolta tutta nel fuoco, di porpora

divennero le sue membra, tutte fuoco.

 

E quando di lontano la farfalla

saggia la vide divenuta una

cosa sola con la candela, e tutta luce

disse: “Lei sola ha toccato la meta, lei sola sa”.

 

Chi più di sé è dimentico

quello tra tutti sa.

Finché non oblierai

il tuo corpo, la tua anima,

che cosa mai saprai

dell’Amata?

 


domenica 2 agosto 2020

Corso, beat italian generation


Allen Ginsberg e Gregory Corso a New York (1973)



Nella mano fuggevole del tempo di Gregory Corso

 

Sui gradini del manicomio luminoso

odo la campana barbuta battere per il prato di bosco

l'estremo rintocco del mio mondo

salgo ed entro in una infuocata assemblea di cavalieri

questi ignari della mia presenza espongono piani di pergamena

e con dita inguainate fanno risalire il mio arrivo

su su fino a quando stavo sui neri gradini di Roma Nerone con la cetra

nelle mie braccia il filosofo lamentoso

l'estremo singulto della storia folle

Ora la mia presenza è nota

il mio arrivo segnato da macchie miniate

Le grandi vetrate del Paradiso si aprono

In polvere radiosa si disfano le tende del Passato

Arrivano in volo stormi di uccelli multicolori

Ali lievi lucenti oh la meraviglia della luce

Il Tempo mi prende per mano

nato il 26 marzo 1930 sono sospinto a 100 all'ora sul vasto mercato della scelta

cosa scegliere? cosa scegliere?

Oh - - - e lascio la mia camera arancione del mito

nessuna possibilità di mettere sotto chiave i miei giocattoli di Zeus

Scelgo la camera di Bleecker Street

Una madre bambina mi ingozza con un pallido seno milanese

Poppo mi divincolo grido oh madre olimpia

strano questo seno per me

Nevi

Decennio di asfalto ghiacciato cavalli condannati

Sogni deboli   Corridoi scuri della Scuola Pubblica 42   Tetti   Piccioni con colli di topo

Sospinto a 100 all'ora per queste strade mafiose fin troppo reali

profondamente depongo le mie ali d'Ermes

 

Oh Tempo sii misericordioso

gettami sotto la tua umanità di automobili

dammi in pasto a giganteschi grattacieli grigi

riversa il mio cuore nei tuoi ponti

io rinuncio alla mia lira d'orfica futilità

 

E per tale tradimento salgo questi luminosi pazzi gradini

ed entro in questa stanza di luce paradisiaca

effimero

Il tempo

un cane lungo lunghissimo dopo aver rincorso la sua coda orbitante

viene ad afferrarmi la mano

e mi guida nella vita condizionale


domenica 26 luglio 2020

Lowell, il delfino della poesia americana


Copertina del libro di Robert Lowell





Mr. Edwards e il ragno di Robert Lowell

 

Vidi i ragni camminare nell’aria,

galleggiando d’albero in albero quel giorno stantio

del tardo agosto quando il fieno

giungeva cigolando al fienile. Ma dove

il vento è dell’ovest,

dove il nocchioso novembre fa volare i ragni

nelle apparizioni del cielo,

essi cercano soltanto pace e muoiono

presto dirigendosi a levante, verso l’alba e il mare;

 

che cosa siamo nelle mani del grande Iddio?

Invano tu ponesti spine e rovi

in ordine di battaglia contro il fuoco

e il tradimento crepitante nel tuo sangue;

poiché le aspre spine s’ammansano

e non faranno nulla per opporsi alla fiamma;

le tue ferite narrano la partita senza scampo

che tu giochi contro una malattia che non puoi curare.

Quanto saranno forti le tue mani? Quanto resisterà il cuore?

 

Una cosa minuta, un vermiciattolo,

o un ragno con emblema di clessidra, si racconta,

può uccidere una tigre. Rispecchierà

il morto la natura e dichiarerà

ai quattro venti il lezzo

e il lampo della sua autorità? È giusto

se Dio che ti trattiene sul pozzo dell’inferno,

come uno tiene un ragno, distruggerà,

confonderà e dissolverà la tua anima. Da fanciullo

nella palude di Windsor, vidi il ragno morire

gettato nelle viscere del fuoco feroce:

non c’è lunga lotta, nessun desiderio

di rimettersi in piedi e fuggire –

allunga le zampe

e muore. Questo è l’ultimo rifugio del peccatore,

sì, e nessuna forza usata sulla calura

ritempra allora la volontà soppressa, quando dolorante

e pieno di fuoco esso sibilerà sul mattone.

 

Ma chi può misurare fino in fondo l’inabissarsi di quell’anima?

Josiah Hawley, immaginati messo

in una fornace di mattoni la cui vampa

fa carbone dei tuoi teneri organi vitali –

se misurato con la clessidra

come parrà bruciare a lungo! Lascia passare

un minuto, dieci, dieci trilioni; ma la fiamma

è infinita, eterna: questa è la morte,

morire e saperlo. Questa è la Vedova Nera, la morte.