giovedì 29 dicembre 2016

Zeichen, museo interiore

Ritratto di Valentino Zeichen



IL POETA di Valentino Zeichen

Presumibilmente,
sembro un poeta di alta rappresentanza
sebbene la mia insufficienza cardiaca
ha per virtù medica il libro «cuore».
Abito appena sopra il livello del mare
mentre la salute, la ricchezza, la purezza
e gli sport invernali
straziano oltre i mille metri.
Perciò mi ossigeno respirando l’aria
dei paradisi alpini
così arditamente fotografati
dagli scalatori sociali
nonostante la pericolosità dei dislivelli.


POESIA di Valentino Zeichen

Si dice che la poesia
manchi di vero slancio,
che non sappia più volare
poiché non più sorretta
dai grandi angeli alati.
Che farci? È un mondo
di poeti atei che volano
preferibilmente in aereo.


LA MATTANZA DELLA BELLEZZA di Valentino Zeichen

All’avvistamento della Bellezza
appena una polena che fende l’onda,
e all’istante sull’occhio critico
cala la benda nera del pirata
affilata cortellessa tra i denti
e inizia l’allegra mattanza
della sirena nella tonnara.
Ma in ambito letterario
l’innominato pratica il volontariato!
E rianima sperimentalisti smorti.

lunedì 5 dicembre 2016

Benn, delirio e culto della forma


Dipinto di Ernst Ludwig Kirchner



Schőne Jugend, Gottfried Benn

Der Mund eines Mädchens, das lange im Schilf gelegen hatte,
sah so angeknabbert aus.
Als man die Brust aufbrach, war die Speiserő hre so lő cherig.
Schließlich in einer Laube unter dem Zwerchfell
fand man ein Nest von jungen Ratten.
Ein kleines Schwesterchen lag tot.
Die andern lebten von Leber und Niere,
tranken das kalte Blut und hatten
hier eine schő ne Jugend verlebt.
Und schő n und schnell kam auch ihr Tod:
man warf sie allesamt ins Wasser.
Ach, wie die kleinen Schnauzen quietschten!



Bella gioventù, Gottfried Benn

La bocca di una ragazza, che era rimasta a lungo nel canneto,
appariva tutta rosicchiata.
Quando le venne aperto il petto, l’esofago era crivellato di buchi.
Si trovò infine in una pergola sotto il diaframma
un nido di giovani topi.
Una piccola sorellina era morta.
Gli altri vivevano di fegato e reni
bevevano il freddo sangue ed era
quella passata qui una bella gioventù.
E bella e rapida venne anche la loro morte:
furono gettati tutti insieme nell’acqua.
Ah, quei musini come squittivano!


(traduzione di Ferruccio Masini)

venerdì 25 novembre 2016

Loi, l’amanuense di Qualcuno

Senza Titolo, Eugenio Tomiolo



Forsi û tremâ cume de giass fa i stèll di Franco Loi


Forsi û tremâ cume de giass fa i stèll,
no per el frègg, no per la pagüra,
no del dulur, legriâss o la speransa,
ma de quel nient che passa per i ciel
e fiada sü la tèra che rengrassia…
Forsi l’è stâ cume che trèma el cör,
a tí, quan’ne la nott va via la lüna,
o vegn matina e par che ‘l ciar se mör
e l’è la vita che la returna vita…
Forsi l’è stâ cume se trèma insèm,
inscí, sensa savèl, cume Diu vör…


Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle di Franco Loi


Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle,
no per il freddo, no per la paura,
no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza,
ma di quel niente che passa per i cieli
e fiata sulla terra che ringrazia...
Forse è stato come trema il cuore,
a te, quando nella notte va via la luna,
o viene mattina e pare che il chiarore si muoia
ed è la vita che ritorna vita...
Forse è stato come si trema insieme,
così, senza saperlo, come Dio vuole...

mercoledì 16 novembre 2016

Zhiti, confessione o propaganda delle rose

Dipinto di Sadik Kaceli




CONTINUAMENTE SI TRADISCE L'UOMO di Visar Zhiti


Continuamente si tradisce l'uomo,
e non dico del suo giorno che improvvisamente
diventa notte,
né della notte dei suoi capelli
che inalba e diventa tacito giorno di vecchiaia.

Si tradisce l'uomo
e non dico che anche la sua tomba muore e il nome
diventa erba marcita di oblìo,
ma l'uomo è continuamente tradito dall'uomo.

E quando una metà mangia la metà
non resta più l'intero,
mi disse un vecchio invecchiato nelle prigioni.

(Traduzione di Elio Miracco)

lunedì 7 novembre 2016

Achmàtova, eroico disimpegno politico

La Pietà rossa, Marc Chagall



Da “Requiem” di Anna Achmàtova


Ciò accadeva, quando sorridevano
solo i morti, lieti della loro pace.
E come un’inutile appendice Leningrado
penzolava accanto alle sue prigioni.
E quando, impazzite dal tormento,
marciavano le schiere condannate
e una breve canzone di distacco
cantavano i fischi delle locomotive.
Le stelle della morte incombevano su noi,
e la Russia innocente si torceva
sotto gli stivali insanguinati
e sotto le gomme delle nere marusi.

Ti hanno portato via all’alba,
io ti venivo dietro, come a un funerale,
nella stanza buia i bambini piangevano,
sull’altarino il cero sgocciolava.
Sulle tue labbra il freddo dell’icona.
Il sudore mortale sulla fronte... Non si scorda!
Come le mogli degli strelizzi, ululerò
sotto le torri del Cremlino.

venerdì 4 novembre 2016

Kavafis, luce barbara

La finestra, Paul Delvaux



Le finestre di Konstantinos Kavafis


In queste tenebrose camere, dove vivo
giorni grevi, di qua di là m'aggiro
per trovare finestre
(sarà scampo se una finestra s'apre).
Ma finestre non si trovano, o non so
trovarle. Meglio non trovarle forse.
Forse sarà la luce altra tortura.
Chi sa che cosa nuove mostrerà.

giovedì 27 ottobre 2016

Mandel'štam, pietra dell’acmeismo

A Skull on the Open Book, Vladimir Tatlin



Un povero raggio di Osip Emil'evič Mandel'štam


Un povero raggio, con misura fredda,
semina lentamente la luce nel bosco umido.
Io porto la tristezza nel cuore, come un uccello grigio.
Cosa fare con un uccello ferito?
Il cielo che tace, è morto.
Da un campanile velato di nebbia
qualcuno ha tolto la campana.

E resta orfano
e muto lo spazio -
come una vuota torre bianca
dove sono nebbia e silenzio.

Mattino, senza limite di tenerezza -
Metà realtà e metà sogno,
deliquio insoddisfatto,
suono vago di pensieri...

domenica 23 ottobre 2016

Faber, amico fragile


La morte compianta di Fabrizio, The Alcorn Studio & Gallery



Il sogno di Maria di Fabrizio De Andrè


Nel Grembo umido, scuro del tempio,
l'ombra era fredda, gonfia d'incenso;
l'angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d'improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese - Conosci l'estate
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all'ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d'ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l'angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d'un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l'immagine, stinse il colore,
ma l'eco lontana di brevi parole
ripeteva d'un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era

- Lo chiameranno figlio di Dio -
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre."

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d'una quiete apparente
che si consuma nell'attesa
d'uno sguardo indulgente.

E tu, piano, posasti le dita
all'orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

venerdì 14 ottobre 2016

Guglielmo IX d'Aquitania, primo trovatore alle porte del paradiso




COME IL RAMO DEL BIANCOSPINO di Guglielmo IX d'Aquitania


Nella dolcezza della primavera
i boschi rinverdiscono, e gli uccelli
cantano, ciascheduno in sua favella,
giusta la melodia del nuovo canto.
E' tempo, dunque, che ognuno si tragga
presso a quel che più brama.

Dall'essere che più mi giova e piace
messaggero non vedo, né sigillo:
perciò non ho riposo né allegrezza,
né ardisco farmi innanzi
finché non sappia di certo se l'esito
sarà quale domando.

Del nostro amore accade
come del ramo del biancospino,
che sta sulla pianta tremando
la notte alla pioggia e al gelo,
fino a domani, che il sole s'effonde
infra le foglie verdi sulle fronde.

Ancora mi rimembra d'un mattino
che facemmo la pace tra noi due ,
e che mi diede un dono così grande:
il suo amore e il suo anello.
Dio mi conceda ancor tanto di vita
che il suo mantello copra le mie mani!

(A.Roncaglia)



TESTO COMPLETO IN LINGUA D'OC


I Ab la dolchor del temps novel
foillo li bosc, e li aucei
chanton, chascus en lor lati,
segon le vers del novel chan:
adonc esta ben c'om s'aisi
d'acho dont hom a plus talan.

II De lai don plus m'es bon e bel
non vei mesager ni sagel,
per que mos cors non dorm ni ri
ni no m'aus traire adenan,
tro qu'eu sacha ben de la fi,
s'eI'es aissi com eu deman.

III La nostr'amor va enaissi
com la brancha de l'albespi,
qu'esta sobre l'arbr'en creman,
la nuoit, ab la ploi'ez al gel,
tro l'endeman, que·l sols s'espan
per la feuilla vert el ramel.

IV Enquer me menbra d'un mati
que nos fezem de guerra fi
e que·m donet un don tan gran:
sa drudari'e son anel.
Enquer me lais Dieus viure tan
qu'aia mas mans soz son mantel!

V Qu'eu non ai soing d'estraing lati
que·m parta de mon Bon Vezi;
qu'eu sai de paraulas com van,
ah un breu sermon que s'espel:
que tal se van d'amor gaban,
nos n'avem la pessa e·l coutel.





sabato 8 ottobre 2016

Cvetaeva, il poema terrestre

La sirena uccello, Alyona Azernaya



IO VOLO di Marina Ivanovna Cvetaeva


Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecar parole.
Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.
Io so che il più tenero maggio
all’occhio dell’Eternità è nulla.
Ma io sono un uccello e non incolparmi
se una facile legge m’è imposta.

lunedì 26 settembre 2016

Elytīs, piccolo marinaio del surrealismo

Dipinto di Marina Karella



La carne del salice di Odysseas Elytīs


La carne del salice il fuoco primigenio della gioventù
La loquela intonsa del profumo della terra
La radice la favilla il fulmine la nube

Scavo infinito con sudore e gioia
Nelle miniere del cuore
Nelle viscere insanguinate del dolore
Tu passa attraverso gli stretti del ricordo
Più lontano sempre più lontano più in là
Là dove il deserto cancella la sua forma.

venerdì 9 settembre 2016

Cardarelli, frammentismo e rosea tristezza

Amici al caffè, Amerigo Bartoli



Homo sum di Vincenzo Cardarelli

Io pago tutto.
Non c'è peccato
ch'io non abbia finora
debitamente scontato.
Ho un organismo vitale
che vuole, contrariamente
al Diavolo di Goethe,
vuole il Bene e fa il Male.
Pensate quale puntualità
e che liste di conti da saldare.
Ai messi del Signore
l'uscio della mia casa è sempre aperto.
E spesso delle loro intimazioni,
prevenendole,
io stesso senz'attenderli
mi faccio esecutore.
Sì che quand'essi giungono
ritto sull'uscio lo fermo
e li rimando dicendo:
Amici, sono anch'io
cursore e complice di Dio.
Che dunque venite a fare
se il debito è già pagato?
Forse è perciò che una donna cattiva
suole dire celiando
ch'io sono un santo e innanzi di morire
farò miracoli.
Talvolta infatti io mi vedo come uno
di quei poveri santi
che sulle tele delle sacrestie
stanno in adorazione della Vergine,
inutilmente aspettando
un suo sguardo.
Ma vi dico, in verità,
che volentieri darei, se pur l'avessi,
una tanto gloriosa vocazione
per un poco d'allegra umanità.
  


lunedì 29 agosto 2016

Di Giacomo, Napoli nobilissima

La baia di Napoli da Posillipo, Pietro Fabris



Pianefforte 'e notte di Salvatore Di Giacomo


Pianefforte 'e notte
Nu pianefforte ‘e notte
Sona lontanamente
E ‘a musica se sente
Pe ll’aria suspirà.

È ll’una: dorme ‘o vico
Ncopp’a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tempo fa.

Dio, quanta stelle cielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
Vurria sentì cantà!

Ma solitario e lento
More ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo o vico
dint’a all’oscurità.

Ll’anema mia surtanto
rummane a sta funesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannose, a penzà.



venerdì 19 agosto 2016

Bonnefoy, anti-Platonico errante

La perdita della verginità, Paul Gauguin



IO TI OFFRO QUESTI VERSI… di Yves Bonnefoy


Io ti offro questi versi, non perché il tuo nome
Possa mai fiorire in questo suolo povero,
Ma perché tentare di ricordarsi,
Sono fiori recisi, il che ha senso.

Certi dicono, persi nel loro sogno, «un fiore»,
Ma significa non sapere che le parole tagliano,
se credono di designarlo, in quel che nominano,
Trasmutando ogni fiore in idea di fiore.

Tranciato il vero fiore diventa metafora,
Questa linfa che cola, è il tempo
Che finisce di liberarsi dal suo sogno.

Chi vuole avere, talvolta, la visita deve
Amare in un mazzo che abbia solo un’ora,
La bellezza non è offerta che a tal prezzo.


martedì 2 agosto 2016

De Moraes, l’arte dell’incontro

Flautista di Candido Portinari


Assenza di Vinicius De Moraes


Io lascerò che muoia in me
il desiderio di amare i tuoi occhi
che sono dolci
perché nulla potrei darti
tranne la pena di vedermi eternamente esausto.
Eppure la tua presenza
è una cosa qualunque come la luce e vita...
... eppure io sento che nel mio gesto esiste il tuo gesto
e nella mia voce la tua voce
Io ti lascerò
tu andrai,
e accosterai il tuo viso a un'altro viso
le tue dita allacceranno altre dita
e tu sboccerai verso l'aurora
ma non saprai che a coglierti sono stato io
perché io sono il grande intimo della notte..
Perché ho accostato il mio viso al viso della notte
e ho sentito il tuo bisbiglio amoroso
e ho portato fino a me la misteriosa essenza
del tuo abbandono disordinato.
Io resterò solo come veliero nei porti silenziosi
ma ti possiederò più di chiunque
perché potrò partire..
E tutti i lamenti del mare del vento del cielo degli uccelli
delle stelle saranno la tua voce presente
la tua voce assente
la tua voce rasserenata.



venerdì 15 luglio 2016

Szymborska, una figlia del secolo

Giovane fanciulla con i guanti, Tamara de Lempicka



Un incontro inatteso di Wislawa Szymborska


Siamo molto cortesi l'uno con l'altro,
diciamo che è bello incontrarsi dopo anni.

Le nostre tigri bevono latte.
I nostri sparvieri vanno a piedi.
I nostri squali affogano nell'acqua.
I nostri lupi sbadigliano a gabbia aperta.

Le nostre vipere si sono scrollate di dosso i lampi,
le scimmie gli slanci, i pavoni le penne.
I pipistrelli già da tanto sono volati via dai nostri capelli.

Ci fermiamo a metà frase,
senza scampo sorridenti.
La nostra gente
non sa parlarsi.

domenica 3 luglio 2016

Corbiere, naufrago d’amore senza mare

Questa non è una pipa, René Magritte



LA PIPE AU POÈTE - Tristan Corbière


Je suis la Pipe d'un poète,
Sa nourrice, et: j'endors sa Bête.

Quand ses chimères êborgnées
Viennent se heurter à son front,
Je fume.,. Et lui, dans son plafond,
Ne peut plus voir les araignées.

... Je lui fais un ciel, des nuages,
La mer, le désert, des mirages;
—  Il laisse errer là son oeil mort...

Et, quand lourde devient la nue,
Il croit voir une ombre connue,
— Et je sens mon tuyau qu'il mord...

— Un autre tourbillon délie
Son âme, son carcan, sa vie!
... Et je me sens m'éteindre. — Il dort -

........................................................

—  Dors encor: la Bête est calmée,
File ton rêve jusqu'an bout...
Mon Pauvre!... la fumée est tout.
— S'il est vrai que tout est fumée..

     


 ***



LA PIPA DEL POETA - Tristan Corbière


Sono la Pipa d'un poeta,
La sua nutrice, e: gli tengo a bada la Bestia.

Quando le sue accecate chimere
Vengono a sbattergli in fronte,
Fumo... E lui, nel suo delirio,
Non ha più niente da vedere.

... Gli rendo un cielo, nuvole,
Il mare, il deserto, miraggi;
— Lui vi lascia vagare il suo occhio morto...

E, quando s'addensa la nube,
Crede di vedere un'ombra conosciuta,
— Sento che tra i denti stringe il cannello...

—  Un altro vortice gli scioglie
L'anima, il cappio, la vita!
... E io mi sento spegnere. — Dorme —

.........................................

- Dormi ancora: la Bestia s'è calmata,
Fila il tuo sogno fino in fondo...
Amico mio!... il fumo è tutto.
— Se è come dicono che tutto è fumo...
       










martedì 21 giugno 2016

Padre Nostro, poesia meditativa

Aggiungi didascalia



Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.

lunedì 13 giugno 2016

Wilde, gioiosa bellezza prigione

La morte di Giacinto, Jean Broc



Dal "De Profundis" di Oscar Wilde


Come tutte le nature poetiche, egli amava gl’ignoranti. Ben egli sapeva che nell’anima d’un essere ignorante c’è sempre posto per una grande idea. Ma non poteva sopportare gli stupidi, specie coloro che sono resi tali dall’educazione: gli uomini pieni d’opinioni delle quali non ne capiscono neppur una - tipo particolarmente moderno, messo in luce da Cristo quando lo dipinge come il tipo di colui che possiede la chiave della conoscenza, ma che, incapace di servirsene per conto proprio, impedisce anche agli altri di usarla, quantunque essa possa aprire la porta del regno del Cielo.
Contro i Filistei egli condusse la sua più fiera campagna. È la guerra che devono combattere tutti i figli della luce. Il Filisteo era la figura caratteristica dell’età e dell’ambiente nel quale Cristo viveva. Con la loro massiccia inaccessibilità alle idee, la loro opaca rispettabilità, la loro noiosa ortodossia, con la loro esclusiva preoccupazione del lato volgarmente materialistico della vita e la loro prosopopea di se stessi e della propria importanza, i Giudei di Gerusalemme, al tempo di Cristo, erano l’immagine esatta del filisteismo britannico del nostro tempo.
Cristo si beffò dei “sepolcri imbiancati” e la sua frase rimase eterna. Trattò il successo materiale come una cosa da disprezzarsi assolutamente. Non voleva vedere in esso nulla d'importante. Considerava la ricchezza come un ingombro per l’uomo. Non voleva affatto sentir parlare di sacrificio della vita a un qualunque sistema di pensiero o di morale. Mostrò che le forme e le cerimonie erano fatte per l’uomo e non già l’uomo per le forme, le convenzioni e le cerimonie. Prese l’idolatria del sabato a bersaglio delle sue sfide. Le filantropie a freddo, le ostentate carità pubbliche, i massacranti formalismi così cari allo spirito dei mediocri - tutto denunciò con uno sdegno implacabile. Per noi l’ortodossia è semplicemente un’acquiescenza facile e idiota, ma per essi nelle loro mani era una tirannide terribile e paralizzatrice. Cristo la ripudiò. Sostenne e provò che soltanto lo spirito contiene un valore. Quasi con un maligno piacere dimostrava loro che, malgrado la lettura continua della legge e dei profeti, essi non avevano, in realtà, la più pallida idea di quel che le une e gli altri significassero. Al contrario della loro suddivisione di ogni giornata in una serie fissa di pratiche prescritte, come un trito di menta e di ruta, egli predicò l’enorme valore di vivere per l'ora presente.
Coloro ch’egli salvò dai peccati, furono salvi soltanto per merito di alcuni momenti belli nella loro vita. Nel veder Cristo, Maria Maddalena spezza il ricco vaso d’alabastro donatole da uno dei suoi sette amanti e sparge gli aromi sui piedi stanchi e polverosi del Maestro; ed è appunto in forza di questo momento unico ch’ella è posta per sempre, con Ruth e Beatrice, in mezzo alle ghirlande di rose bianche del Paradiso.
Tutto ciò che Cristo c’insegna con piccoli moniti si è che ogni istante della nostra vita deve essere bello, che l’anima ha da essere pronta per l’arrivo dello sposo, sempre attenta alla voce dell'amante - poiché il Filisteismo è semplicemente quel lato dell’indole dell’uomo che non s’illumina alla fiamma dell’immaginazione. Cristo vede tutte le più splendide facoltà della vita come delle attitudini luminose: la stessa immaginazione è la luce del mondo. Il mondo è creato da lei e tuttavia non la comprende; il che si spiega, poiché l’immaginazione è un manifestarsi dell’amore ed è l’amore e la facoltà d’amare che distinguono tra loro gli esseri umani.
Sennonché, è nelle sue relazioni con i peccatori che Cristo è sopra tutto romantico, nel senso più reale della parola. Il mondo aveva sempre venerato i santi, perché sono i più prossimi alla perfezione di Dio. Cristo, invece, guidato da un istinto divino, sembra che abbia sempre amato il peccatore come il più prossimo alla perfezione dell’uomo.
Il suo desiderio originario non era già quello di redimere gli uomini - come non era di lenire il dolore. Trasformare un ladro interessante in un onest’uomo noioso - non era proprio il suo scopo. Egli avrebbe avuto una ben misera idea della Società per la Redenzione dei Carcerati e d’altre iniziative moderne del medesimo genere. La conversione d’un pubblicano in un fariseo non gli sarebbe parsa un atto molto degno di gloria. Ma egli considerava il peccato e la sofferenza in una maniera che il mondo non ha per nulla compreso, come due cose belle e sante, come forme di perfezione.
Questa sembra un’idea pericolosa ed è pericolosa, di fatti, come tutte le grandi idee. Ma non c’è nessun dubbio ch’era veramente il credo di Cristo. Ed io non esito a ritenerla una verità straordinaria.




giovedì 2 giugno 2016

Gatto, isola ermetica

Le infinite possibilità di esistere, Alighiero Boetti



Quanti nomi, quante cose di Alfonso Gatto


C'è chi si chiama «leone»,
chi «bianco», chi «rosso».
Son tutti nomi
per tutte le cose;
per tutti i paesi,
Campoleone
Monterosso
Castelletto
e duomi, rose, falò accesi.
Quanti nomi, quante cose!
Chi per primo rispose
a sentirsi chiamare:
gli uomini o le cose,
le montagne o il mare?


lunedì 23 maggio 2016

Plath, l’Orlo di una Mademoiselle

Macchina da scrivere Royal di Sylvia Plath



Io sono verticale di Sylvia Plath 

Ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un'aiuola
ultradipinta che susciti grida di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell'uno la lunga vita, dell'altra mi manca l'audacia.

Stasera, all'infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo piu' perfetto -
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me piu' naturale.
Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.



I Am Vertical


But I would rather be horizontal.
I am not a tree with my root in the soil
Sucking up minerals and motherly love
So that each March I may gleam into leaf,
Nor am I the beauty of a garden bed
Attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
Unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
And a flower-head not tall, but more startling,
And I want the one's longevity and the other's daring.

Tonight, in the infinitesimallight of the stars,
The trees and the flowers have been strewing their cool odors.
I walk among them, but none of them are noticing.
Sometimes I think that when I am sleeping
I must most perfectly resemble them--
Thoughts gone dim.
It is more natural to me, lying down.
Then the sky and I are in open conversation,
And I shall be useful when I lie down finally:
Then the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.

mercoledì 18 maggio 2016

Li Bai, l’immortale della Dinastia Tang

Pensieri in una notte quieta, Li Bai



Pensieri in una notte quieta di Li Bai

Dinanzi al letto un luminoso raggio lunare
sulla terra sembra essere brina brillare.
Si solleva il capo guardando la luminosa luna,
si china il capo pensando al paese natale.



床前明月光Chuang qian ming yue guang
疑是地上霜Yi shi di shang shuang
舉頭望明月Ju tou wang ming yue
低頭思故鄉Di tou si gu xiang

mercoledì 11 maggio 2016

Onofri, metafisica e disamore

Nostalgia dell’infinito, Giorgio De Chirico



Da Simili a melodie rapprese in mondo di Arturo Onofri



Simili a melodie rapprese in mondo,
quand’erano sull’orlo di sfatarsi
nei superni silenzi, ardono pace
nel mezzogiorno torrido le ondate
ferme dei pini, sul brillìo turchino
del mare che smiracola d’argento.
E ancora dalle masse di smeraldo
divampa un concepirsi incandescenze;
ma un pensiero di su le incenerisce
in quella pausa d’essere ch’è cielo;
azzurreggiar di tenebra, che intima
(dal massiccio dell’alpe all’orizzonte)
ai duri tronchi èrgersi alati incensi
a un dio sonoro, addormentato, in forma
d’un paese celeste sulla terra.

venerdì 6 maggio 2016

Brodskij, il miagolio e l’interrogatorio

Natura morta con gatto e cipolle, Boris Gregoriev 



Arrivederci, o magari addio di Iosif Aleksandrovič Brodskij

Non è necessario che tu mi ascolti,
non è importante che tu senta le mie parole,
no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso
(eppure sapessi com’è strano, per me, scriverti di nuovo,
com’è bizzarro rivivere un addio…)
Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio.


Che vuoi che sia se non potrai vedere come qui ritorna primavera
mentre un uccello scuro ricomincia a frequentare questi rami,
proprio quando il vento riappare tra i lampioni,
sotto i quali passavi in solitudine.
Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore.


Io sono qui, ancora a passare le ore in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire…

Difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto;
so bene quanto questo ti sia indifferente,
e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza
della tua solitudine, per la tua coriacea fermezza,
per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona.


Tutto quello che valichi e rimuovi
tutto quello che lambisci e poi nascondi,
tutto quello che è stato e ancora è, tutto quello che cancellerai in un colpo
di sera, di mattina, d’inverno, d’estate o a primavera
o sugli spenti prati autunnali – tutto resterà sempre con me.


Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo,
un semplice peccato rimosso che permette però
alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi,
sull’amicizia che hai voluto concedermi
e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti.



Arrivederci, o magari addio.
Librati, impossessati del cielo con le ali del silenzio
oppure conquista, con il vascello dell’oblio, il vasto mare della dimenticanza.