sabato 18 gennaio 2020

Kupala, il suonatore di gusli

La prima neve, Vasilij Polenov




Urlando di Janka Kupala

Il lupo ulula, il vento selvaggio sibila,
l’usignolo si lamenta, l’oca starnazza,
non m’importa: è il mio paese –
campi, foreste, fiumi — Bielorussia.
Colline, seminate di pietre,
raccolti ad altezza di ginocchio per i passeri,
non m’importa: umili capanne e fienili,
ah, non c’è nulla uguale ad essi.
La mia capanna, il mio granaio sono impagliati:
miserabili, a dire il vero –
ma io mi ci chiudo dentro,
e calpesto il terreno di zolla.
La mia capanna, il mio granaio sono impagliati:
e portano, se si bussa, alla mia anima,
sentimenti, pensieri. Io li sogno, li faccio entrare,
ospiti del cuore, come un Credo.
La capanna osservava mentre io scoprivo il mondo di Dio;
fuggendo di corsa verso i miei primi libri di scuola;
attento ai racconti del nonno al tramonto, camminando impettito
verso la Grande Casa per lavorare per il Denaro.
Il mio granaio, dove ho raccolto il grano e l’orzo,
ho sussurrato t’amo a Zosia
e, anni più tardi, ho rastrellato il grano con i miei figli,
e quest’anno ho faticato a fare il bagno.
Quasi tristezza, spesso sfortuna:
Zosia zappa, i figli sono andati nel mondo –
Ma mi sono abituato, in qualche modo:
mi sono interrato, come fanno le radici.
Ah, tutto ciò ti dice delle cose — ogni cosa:
betulla nodosa, quercia centenaria,
gelata invernale, erba estiva,
ovile dal terreno muschiato,
il ruscello che gorgoglia, il giardino che inverdisce –
trattiene il mio cuore, amico, e la mia anima.
Lo pianto e l’ho piantato io stesso: venti anni
ed è quasi un bosco.
Mi sono abituato a lui, in qualche modo:
conosco i numeri, le mele, le prugne,
le notti con Zosia, anni prima,
e tutti i sogni.
Dio, è paradiso, un paradiso
quando il sole di primavera occhieggia
- il mio animo sobbalza — quando gli uccelli
cinguettano, dappertutto nel giardino.
Il cuculo dà le notizie della mia vita,
i merli fanno baccano, gli usignoli fanno udire
le loro melodie, i passeri si fanno sentire e beccano le ortiche:
e il sole riscalda e splende.
Guarda amico: campo, pascolo,
fieno di sale e pepe, solchi stretti,
dove le falci sibilavano, gli aratri rombavano,
dove faticavo tutte le ore leggere.
Un lungo, lungo solco di avena verde;
qui, più vicino, solchi ripieni di patate;
li, più giù, i solchi di segala;
lì, lì, terreno a maggese, liscio come un tamburo.
Nell’avena, teste di bulbi verdi,
scintillanti ed alti;
lì, barbe d’orzo, e lì, oltre,
lì vicino, un vigneto.
Dove guardo — ora lo sai –
È il mio paese, la mia terra:
la gente? — hm… dopo, dopo
essi tirano la vita.
Vi piacerebbero — campi, foreste, il mio giardino verde,
le oche che starnazzano beh, a chi non piacerebbero.
E i selvaggi sibili del vento: non mi importa –
è la Bielorussia, che urla.

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