Ulisse e Penelope con Euriclea a
fianco, Johann Heinrich Wilhelm Tischbein
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Odissea di Omero (dal libro
primo)
Musa, quell’uom di moltiforme
ingegno
Dimmi, che molto errò, poich’ebbe
a terra
Gittate d’Iliòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle
genti
L’indol conobbe; che sovr’esso il
mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita
intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma
indarno
Ricondur desiava i suoi compagni,
Che delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il
Nume,
Che del ritorno il dì lor non
addusse.
Deh parte almen di sì ammirande
cose
Narra anco a noi, di Giove
figlia, e Diva.
Già tutti i Greci, che la nera
Parca
Rapiti non avea, ne’ loro
alberghi
Fuor dell’arme sedeano, e fuor
dell’onde.
Sol dal suo regno e dalla casta
donna
Rimanea lungi Ulisse: il ritenea
Nel cavo sen di solitarie grotte
La bella venerabile Calipso,
Che unirsi a lui di maritali nodi
Bramava pur, Ninfa quantunque, e
Diva.
E poichè giunse al fin, volvendo
gli anni,
La destinata dagli Dei stagione
Del suo ritorno in Itaca, novelle
Tra i fidi amici ancor pene
durava.
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