domenica 15 marzo 2015

Omero, cieco padre

Ulisse e Penelope con Euriclea a fianco, Johann Heinrich Wilhelm Tischbein



Odissea di Omero (dal libro primo)


Musa, quell’uom di moltiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
Gittate d’Iliòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L’indol conobbe; che sovr’esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desiava i suoi compagni,
Che delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il Nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia, e Diva.
Già tutti i Greci, che la nera Parca
Rapiti non avea, ne’ loro alberghi
Fuor dell’arme sedeano, e fuor dell’onde.
Sol dal suo regno e dalla casta donna
Rimanea lungi Ulisse: il ritenea
Nel cavo sen di solitarie grotte
La bella venerabile Calipso,
Che unirsi a lui di maritali nodi
Bramava pur, Ninfa quantunque, e Diva.
E poichè giunse al fin, volvendo gli anni,
La destinata dagli Dei stagione
Del suo ritorno in Itaca, novelle
Tra i fidi amici ancor pene durava.



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